all’incirca vicini al vero - FOTOgraphia 140
Francamente, speriamo di non essere noiosi. Siamo soltanto convinti che in ogni azione svolta e lavoro esercitato, ciascuno debba essere meticoloso: cioè preciso, determinato, accurato, scrupoloso e diligente, affinché il proprio operato possa comporre i tratti di una conoscenza senza riserve. Dopo di che, possono anche sfuggire errori di svolgimento, che sanno nascondersi con impertinente abilità, sì da rivelarsi a giochi conclusi, quando la correzione non è più possibile: pensiamo a errori di stampa in giornali e libri, e ad analoghe sfumature di forma.
Ovviamente non ci sono scuse neppure per questi errori di contorno: ma almeno non dipendono dall’incuria. Perché è a questa che ci riferiamo, quando prendiamo in considerazione una colpevole serie di inesattezze che riguardano la fotografia, che incontriamo con allarmante frequenza. Allo stesso momento, siamo perfettamente coscienti che questa irriverente approssimazione non riguardi soltanto la fotografia, ma sia ormai endemicamente diffusa nella vita quotidiana, senza soluzione di continuità; il nostro punto di osservazione fotografico vada quindi inteso come parte-per-il-tutto, come microcosmo rappresentativo di un macrocosmo esteso.
Tanti esempi possono essere riferiti, e periodicamente su queste pagine siamo puntuali nel sottolinearli in cronaca, andando a segnalare quei giornali che trattano la fotografia con riprovevole sufficienza: errori e omissioni. Adesso ne richiamiamo altri, significativi di assoluta mancanza di rispetto e considerazione, oltre che rappresentativi di un cattivo modo di agire e lavorare. Sia chiaro che nessuno degli errori che stiamo per segnalare cambia radicalmente le carte in tavola.., ma! Ma sono tutti caratteristici di una tendenza pericolosa, che ha annullato la verifica e il controllo, per dare fiato e spazio all’incirca.
Onestamente, prima di chiamare in causa altri, segnaliamo un peccato originario dalle pagine della prima traduzione italiana del manuale di Louis Jacques Mandé Daguerre, quella avvincente Descrizione pratica del nuovo istromento chiamato il daguerrotipo, che Photographica di Perugia ha recentemente stampato in anastatica (FOTOgraphia, ottobre 2003 e giugno 2007). La spiegazione alla Tavola quantifica le dimensioni della «lamina di rame inargentata» del dagherrotipo «216 millimetri sopra 64 mill.»: invece, nel testo di Daguerre i valori sono 216x164mm: e la differenza non è certo piccola.
Giusto di questo, vogliamo parlare: ovvero del poco scrupolo con cui si tratta la materia (scienza, disciplina, arte) fotografica: come se non fosse degna delle attenzioni riservate ad altri (anche se, come abbiamo già annotato, sappiamo bene che la mancanza di diligenza professionale è ormai estremamente diffusa). Così, osiamo ancora scandalizzarci per l’identificazione di “Henry Cartier-Bresson”, autore del ritratto di George Hoynigen-Heune in copertina del saggio sulla fotografia L’infinito istante di Geoff Dyer. Essendo francese, HCB è “Henri”:
peccato veniale? Mortale, diciamo, se e quando lo commette un editore del calibro di Einaudi.
Ragionevolmente, ci sono stati tempi nei quali abbiamo avuto cieca fiducia in certi editori, noti e riconosciuti anche per la propria serietà redazionale. Ma già Bollati Boringhieri, altra leggenda, ci aveva traditi nel 1991, quando pubblicò l’avvincente romanzo Tre contadini che vanno a ballare.., di Richard Powers, costruito sulla famosa fotografia di August Sander, che nella presentazione diventa “Sanders”. Grave? Fate voi, tenendo conto che basta una modesta verifichina.
Ancora avanti, arriviamo ai giorni nostri. E di scena La Repubblica, che promuove l’allegato Design in 1000 oggetti, ovvero La storia del design mondiale nelle icone di ieri, di oggi e di domani. Ci fa piacere che una delle mille icone del design sia la Leica I, correttamente attribuita a O[skar] Barnack e giustamente datata 1925. Peccato solo che l’illustrazione presenti la successiva Leica lllg, del 1957, che poco ha da spartire con l’apparecchio originario (pagina accanto). (Soprassediamo, quindi, sulla soggettività dell’indicazione, pur essendo consapevoli che il più affascinante design Leica dovrebbe riferirsi alla M3, del 1954, disegnata da Ludwig Leitz, figlio di Ernst Leitz Il, allievo ed esponente di una stagione tedesca di pensiero artistico/scientifico che, sull’onda lunga della Bauhaus di Weimar, teorizzò l’arte applicata alla vita quotidiana).
Paradossalmente, il capitolo delle inesattezze Leica è controbilanciato da una esattezza storica riportata su un francobollo della Micronesia, piccola federazione di stati oceanici estesa sull’arcipelago delle Caroline. Ne abbiamo scritto nel luglio 2004, e qui sintetizziamo. Uno dei soggetti del foglio filatelico celebrativo del Ventesimo secolo è proprio la Leica, simbolica degli anni Venti, identificata con apprezzata consapevolezza storica. Non “prima macchina fotografica 24x36mm”, come erroneamente molti affermano, ma “prima macchina fotografica 35mm di successo commerciale” . Infatti, la storia della fotografia segnala che prima della Leica ci furono altri timidi tentativi di finalizzare alla fotografia la pellicola cinematografica 35mm, che però non ebbero alcun seguito. Quindi, nell’attribuzione meglio specificata, l’emissione filatelica della Micronesia rivela anche una corretta visione della storia evolutiva della tecnica fotografica. Complimenti!
Hanno senso e diritto di ospitalità, tutte queste rilevazioni? No, per quanto ormai tutto vada in questa direzione. Sì, se si ha ancora speranza che ogni lavoro debba essere svolto con scrupolo, come eticamente legittimo per il rispetto che si deve ai propri interlocutori (ascoltatori, lettori e simili).
In definitiva, si tratta sempre di individuare a quale livello di dignità ciascuno di noi si iscrive. Se la pigrizia o l’incompetenza inducono a non verificare nulla, per rimanere all’incirca vicini al vero, la dignità professionale è di profilo basso, e non è necessariamente punita per questo; al contrario, se ciascuno antepone un certo dovere a un preteso diritto, tutto cambia.
Alle prossime puntate.
Maurizio Rebuzzini
Editoriale di FOTOgraphia n° 140
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