Dieci anni fa, soltanto dieci anni fa, agli albori dell’acquisizione digitale di immagini così come oggi l’intendiamo, i livelli qualitativi che nel frattempo abbiamo raggiunto erano impensabili. In relazione alle anagrafi individuali, dieci anni sono una quantità di tempo variabile: pochi, per chi ha più stagioni sulle spalle, la maggior parte delle quali vissute magari in fotografia; molti, per i più giovani, che osservano il passato con riferimenti temporali propri. In assoluto, però, dieci anni sono effettivamente pochi (complice la nostra anagrafe). In origine, diciamo pure circa dieci anni fa, la fotografia digitale altro non fu che la sostituzione della pellicola con un sensore digitale, peraltro di modeste capacità (così conteggiamo oggi, alla luce delle evoluzioni che si sono rapidamente rincorse). Immediatamente a seguire, sia con intendimenti professionali, sia in proiezione non professionale, la fotografia digitale ha espresso proprie esuberanti personalità, agendo simultaneamente sui parametri propriamente fotografici (obiettivi, aperture di diaframma e sistemi di otturazione) e sulle prerogative della configurazione dell’immagine (interpretazione cromatica e tonale, gestione dei file, software e altro ancora).
Tanto che, dieci anni dopo, il mercato offre e propone dotazioni appunto sostanziose dal punto di vista fotografico e da quello digitale: per esempio, reflex con zoom fisso di generosa escursione focale, fino a 18x, e compatte con dotazioni ottiche vertiginosamente grandangolari, da 19mm equivalenti; quindi, risoluzioni che hanno abbondantemente superato i dieci Megapixel, acquisizioni in sequenza rapida, a partire da almeno cinque fotogrammi al secondo, raffinate lavorazioni.
Rapidamente, con un ritmo che la tecnologia fotografica ha registrato soltanto nei pionieristici decenni della propria origine, quando i processi chimici modificavano radicalmente le opzioni di ripresa e stampa con evoluzioni analogamente esponenziali, si sono trasformati tutti i parametri della ripresa fotografica. Ma! Ma non avrebbero dovuto cambiare i princìpi. Purtroppo, la rapidità ha un poco preso la mano, fino ad elevare l’evoluzione tecnologica a valore assoluto e fine a se stesso. Adesso, raggiunte mete significative, che consentono di non mettere più in discussione la qualità formale delle acquisizioni, possiamo riprendere a parlare dell’immagine, indipendentemente dalla propria confezione.
Ecco dunque che la meta Nikon D3, con accompagnamento di Nikon D300 (da pagina 34), è autenticamente tale: meta. A partire dalla quale, la fotografia ha tempo, modo e obbligo di ritornare a essere analizzata per il proprio linguaggio visivo esplicito: quello che si basa sulla consapevole, convinta e cosciente applicazione di stilemi propri: inquadratura, composizione, prospettiva, punto di vista e sfocatura. Una grammatica dei sentimenti ed emozioni, della quale non si può, né deve, fare a meno. Indipendentemente dalle mediazioni tecniche: necessarie, ma non certo sufficienti.
Maurizio Rebuzzini
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